mercoledì 27 luglio 2016

Un Tranquillo Weekend di Birra a Roma

Fontana di Trevi
Ero già stato a Roma tre volte, anche per la birra artigianale. L'ultimo viaggio risale a ottobre 2015, in occasione di EurHop!. Quella volta mi concentrai soprattutto sul festival, ma non persi occasione di far visita anche ad alcuni famosi locali. Lo scorso weekend, sono tornato in alcuni di quegli stessi posti, ma ho visitato soprattutto altri pub e beershop, fra cui alcuni di recente apertura. Segue il report di una "48 ore" birraria piuttosto intensa:

DOMUS BIRRAE
via Cavour 88
Appena ho messo piede a Termini, mi sono fiondato al Domus Birrae (famoso beershop della Capitale) omonimo del più importante distributore di birre artigianali di Roma. Il negozio è composto da due sale: nella prima ci sono alcuni frigoriferi dove si può prendere qualche bottiglia o lattina da stappare anche al momento, mentre nella seconda ci sono molti più scaffali pieni di birre di ogni tipo. Essendo un beershop "classico" non ci sono posti a sedere, bancone o spine. Utile per "fare la spesa" prima di ripartire grazie alla vicinanza alla stazione.

OPEN BALADIN
via degli Specchi 6
Uno dei locali di birra più famosi di Roma. Nato nel 2009, l'Open è diventato in breve tempo un punto di riferimento per gli appassionati, ma soprattutto per i turisti birrofili che inondano ogni giorno il centro città e Campo de' Fiori. Presenta un ampio bancone dotato di ben 40 vie, di cui la maggior parte italiane, e due sale con tavoli e sgabelli. Oltre alla birra, ha un menù interessante che propone classici della cucina romana e i gettonatissimi hamburger gourmet. Da visitare almeno una volta.

MA CHE SIETE VENUTI A FA'
via Benedetta 25
Molti direbbero che si tratta del craft beer pub per antonomasia. Il "Macche" è probabilmente il locale italiano di birra artigianale più conosciuto al mondo. E' stato nominato su Ratebeer "Best Beer Bar 2010", cioè il miglior bar al mondo di birra artigianale. Si trova nel cuore di Trastevere e propone 14 spine e 2 pompe di birre artigianali internazionali a rotazione. L'interno non è molto ampio, anzi è piuttosto claustrofobico. Oltre alla zona bancone (dotata di qualche sgabello), presenta anche un paio di salette (di cui una al piano inferiore), ma la maggior parte della gente preferisce bere in mezzo alla strada, quando il tempo lo permette. Meta di pellegrinaggio ...>>>

martedì 21 giugno 2016

Alla Scoperta di Wroclaw e delle Birre Artigianali Polacche (2/2)

<<< TORNA ALLA PRIMA PARTE DEL VIAGGIO <<<

BROWAR STU MOSTOW
Cattedrale San Giovanni Battista
Il mio tour birrario di Wroclaw prosegue verso una nuova destinazione: nuova in ogni senso, perché questa volta non si tratta di una birreria ma di un vero e proprio birrificio artigianale.
Il Stu Mostow si trova a circa 3 km a nord dal centro e per arrivarci mi sono fatto una simpatica passeggiata di 40 minuti sotto il sole cocente. Non si direbbe che la Polonia sia un posto caldo, ma alcuni publican mi hanno confermato che in estate a Wroclaw si superano tranquillamente i 35 gradi.
Passando da quartieri residenziali ad altri più popolari, lungo la grande arteria Wyszynskiego, si supera il ponte Warszawski e si arriva, infine, a una zona industriale dove ha sede la produzione. Sono rimasto molto sorpreso di vedere così tanta gente ritrovarsi a bere in birrificio. In Italia, sono abituato a visitare birrifici che effettuano soltanto la produzione e difficilmente sono contenti di essere disturbati sul luogo di lavoro. A volte (non sempre) si possono prenotare delle visite guidate e, al massimo, i più oculati sono provvisti di una piccola tap room dove poter stappare qualche bottiglia in loco, ma non avevo mai visto un vero e proprio pub all'interno dello stabilimento produttivo. In questo caso, il birrificio non è più solamente un’azienda "chiusa" che produce birra, ma diventa un centro di aggregazione per l’intero quartiere.
Bancone pub del Stu Mostow
Al Stu Mostow, il birrificio viene vissuto quotidianamente dalla “sua gente”, che di conseguenza gli è molto fedele e affezionato.
Il paragone che mi viene subito in mente è quello fra il Birrificio Lambrate e il quartiere che lo accoglie, da cui ovviamente prende il nome.
Sala Cottura
Oltre ad avere un giardino esterno con panche e tavolini, appena si entra al Stu Mostow ci si trova di fronte a una vetrata dalla quale si possono ammirare i fermentatori e la sala cottura. Se si prendono le scale sulla sinistra, si sale fino ad arrivare ad un soppalco in cui si trova il bancone con 10 spine e tanti tavolini. C’è anche la cucina, se si volesse stuzzicare qualcosa. Io, per esempio, ho preso un piatto di salsicce con crauti, cipolle e salsa piccante al curry, accompagnato da pane di segale fatto in casa. La cosa che mi ha maggiormente impressionato è che il pub soppalcato non è separato in alcun modo dal birrificio sottostante, ma lasciato aperto. Si può tranquillamente prendere la propria birra e sorseggiarla sulla ringhiera con vista impianto. Probabilmente, in Italia, l’ASL non lo permetterebbe mai...
Per tornare alle cose serie, le birre alla spina sono quelle della “casa” più qualche ospite nazionale e internazionale a rotazione. Durante la mia visita era disponibile la Jack Hammer di Brewdog.
Spine 
Può risultare interessante sapere che Stu Mostow produce tre differenti linee di birre, che si chiamano: WRCLW, Salamander e ART. Della WRCLW, il cui nome è chiaramente un riferimento al nome della città, fanno parte 6 birre che potremmo definire “base” (pils, hefeweizen, dunkelweizen, roggenbier, imperial stout e una sua versione barricata in botti di Bourbon).
Della linea Salamander fanno parte stili di birra più moderni e luppolati, che vanno di moda ultimamente. Qui troviamo soprattutto: APA, IPA, AIPA e via dicendo...non senza qualche eccezione come una Wheat Porter e una bizzarra “Violet Potato Lager”.
La linea ART, invece, è quella più “artistica” e dedicata alla fantasia e alle sperimentazioni del birraio. E’ composta da 8 birre e se ne possono trovare di davvero particolari (birre alla frutta, birre acide, birre con spezie, birre con cereali alternativi o barricate…).
Ovviamente non tutte erano disponibili in quel momento. Ho avuto modo di provare...>>>

martedì 14 giugno 2016

Alla Scoperta di Wroclaw e delle Birre Artigianali Polacche (1/2)

Municipio nel Rynek
Sono appena tornato da un breve soggiorno in Polonia, in cui mi sono dedicato alla scoperta del movimento artigianale polacco e all'assaggio di un sacco di birre prodotte da un manipolo di piccoli birrifici indipendenti.
In particolare, ho visitato Wroclaw ("Vròzuaf" è la pronuncia esatta), una bella cittadina di 650.000 abitanti che si affaccia sul fiume Odra. Benché si tratti della quarta città più grande della Polonia, nonché capitale della Bassa Slesia, ho notato che quando menzionavo la mia destinazione tutti mi guardavano come se fossi un alieno. Le cose non miglioravano neanche quando citavo il nome italianizzato della città, cioè Breslavia (dal tedesco "Breslau", dato che fino al 1945 faceva parte della Germania). Molti pensavano che stessi parlando di Bratislava, in Slovacchia, ma devo ammettere che anch'io non avevo praticamente mai sentito nominare questa città prima di qualche mese fa, quando scoprii che assieme a San Sebastian (in Spagna) era stata nominata Capitale Europea della Cultura 2016 Capitale Mondiale del Libro 2016.
Fiume Odra al tramonto
La sorpresa è stata altrettanto grande quando ho iniziato a informarmi sui birrifici e i craft beer pub presenti in città. Leggendo su Ratebeer, Wroclaw viene segnalata come la città più popolata di bar, seconda soltanto alla capitale Varsavia. Effettivamente, nel weekend la vita notturna è piuttosto animata; se però parliamo nello specifico di birra artigianale, i posti che valgono veramente la pena sono circa una decina, come mi è stato più volte confermato anche da fonti locali. Vediamo, quindi, di fare un resoconto di questa spedizione:

4HOPS
Il primo locale che ho visitato è stato il 4Hops, che si trova all'inizio della Olawska, la via pedonale che porta dritti al Rynek (la piazza centrale, cuore pulsante della città). Si tratta di un craft beer bar moderno, molto pop e "americaneggiante". I ragazzi al bancone sono giovani, amichevoli e molto appassionati. L'ambiente è sereno e rilassato negli orari di minor affluenza, mentre diventa più confusionario dalle 18.00 in poi. Anche la clientela (mediamente più giovane rispetto a quelle che sono abituato a vedere in Italia) rispecchia molto il tipo di locale e il carattere dello staff. Non lo definirei assolutamente un pub di nerd della birra, ma incarna sicuramente l'anima più social, trendy e geek del movimento birrario internazionale.
E' aperto soltanto da ottobre 2015, ma secondo me è destinato a diventare un punto di riferimento per tutti gli appassionati. Qui si trovano quasi solo birre artigianali polacche alla spina a rotazione. Le uniche eccezioni riguardano i Lambic, le Pils e le Keller. Piccola parentesi: in quasi tutti i locali che ho visitato, ho notato che per questi stili ci si affida quasi sempre a produttori dei paesi d'origine - rispettivamente Belgio, Rep.Ceca e Germania - mentre per tutti gli altri ci si affida a birrifici locali e nazionali.
Al momento del mio passaggio disponevano di 16 spine e una selezione piuttosto variegata. L'unico difetto che ho notato (se così si può definire) è che sembra andare molto di moda il "famolo strano", cioè la birra stravagante fatta con ingredienti atipici, ma anche rivisitazioni abbastanza strampalate di stili classici e l'uso quasi schizofrenico di cereali alternativi all'orzo. Nella maggior parte dei casi i risultati sono birre nonsense o quantomeno discutibili, mentre a volte i risultati sono sorprendenti! Per esempio, nel primo gruppo farei rientrare:
- Swidermajer di Browar Bazyliszek. Si tratta di una Summer Ale 3,8% ABV prodotta da questo famoso brewpub di Varsavia. La cosa che disturba la bevuta di questa "session" è l'uso sconsiderato di rosmarino, che copre ogni cosa;
- Kevin Bekon di Hopium, una Red Ale 5,3% ABV aromatizzata al bacon. Non ho chiesto se si trattasse di un'essenza o di vero bacon, fatto sta che assaggiarla può essere curioso e divertente, ma berne mezzo litro è semplicemente da pazzi;
- Krol Lata di Browar Pinta. Il ragazzo dietro al bancone mi ha riferito che Pinta è stato il primo birrificio artigianale polacco ad aprire i battenti. Parliamo precisamente del 28 marzo 2011. Sono passati solo 5 anni e questo può dare un'idea di quanto il movimento artigianale polacco sia ancora agli albori. Ad oggi, si contano circa 30 birrifici artigianali; praticamente un'inezia se pensiamo che in Italia abbiamo ormai superato quota 1000 (sommando birrifici, brewpub e beerfirm). Bisogna però considerare che il nostro movimento ha già 20 anni alle spalle. Sarei quindi molto curioso di sapere quanti birrifici erano aperti dopo il primo quinquennio (1996-2001) per fare un confronto equo. 
Per tornare alla birra, qui siamo di fronte a quella che viene definita una Hoppy Oatmeal Witbier. Già lo stile (se così possiamo definirlo) è un bel minestrone. Alla prova dell'assaggio non convince. Come da premessa, si rivela una produzione nonsense con un corpo eccessivo, esteri in evidenza e anche qualche difettuccio (diacetile, formaggio).
Le birre che invece mi hanno piacevolmente sorpreso sono diverse, ma non sto qui a menzionarle tutte. Quelle che mi sono piaciute di più sono:
- Lazy Barry di Ale Browar e Nepumucen. Siamo di fronte a una collaboration brew, stile American Grodziskie 3,6% ABV. Elegantemente affumicata (ricorda tantissimo il legno e lo speck, più che la scamorza), sottilmente agrumata per via dei luppoli americani, secca al punto giusto, ottima carbonazione, rinfrescante e leggermente acidula. Disseta e ripulisce che è una meraviglia. Rientra nettamente fra le migliori bevute fatte a Wroclaw;
- Bumelant di Browar Zakladowy. Questo birrificio ha aperto da pochissimi mesi e ha fatto il suo debutto sul mercato polacco con quattro birre, di cui una è questa Ale scura generosamente luppolata. A primo impatto mi ricordava un po' la Nigredo di Birrificio Italiano, ma non è assolutamente la stessa cosa. Potrebbe assomigliare a una Schwarz tedesca con luppolatura americana, ma non è nemmeno questo. Per quanto semplice, risulta molto intrigante e difficilmente inquadrabile. Il birraio la definisce una specie di Session Black IPA, ma ufficialmente si tratta di una Polskie Ciemne Ale (Polish Dark Ale) e viene prodotta con tre luppoli locali, fra cui il Pulawski, il Lunga e uno simile al celeberrimo Cascade americano. Con i suoi 4,7 % ABV e un profilo aromatico divino, mi sarei fatto fuori l'intero fusto. Ciò che rende speciale questa birra è la pulizia di bevuta e il perfetto equilibrio fra corpo, malti speciali e luppolatura: un mix perfetto che la rende super beverina e appagante. L'estrema freschezza dei luppoli polacchi le dà una marcia in più. E’ una delle birre che ho preferito di più in tutto il viaggio e anche una delle migliori bevute del 2016, finora ...>>>

venerdì 25 marzo 2016

Beer Travel in Rep.Ceca: Plzen (2/2)

Pivovar Prazdroj
Bancone del Restaurace Na Spilce
Prima parte del viaggio >>> Praga (1/2)

Viaggio in treno da Praga a Plzen. Tutto tranquillo. Nevica, come al solito.
Appena sceso dal treno vado a prenotare la visita al Birrificio della Pilsner Urquell (in ceco: Pivovar Prazdroj). 
Gambrinus
Ho due orette prima del mio turno. Nonostante imperversi una tempesta di neve, tutto scorre nella più totale normalità in questa cittadina boema. Fossimo stati a Milano sarebbe stata una catastrofe naturale. Non parliamo poi di Roma.
Decido di andare a mangiare al ristorante del birrificio: il Restaurace Na Spilce.
Passato il negozio di souvenir, se scendete le scale verrete catapultati in un una specie di enorme cantina trasformata in ristorante. Posto molto bello. Il menù è quello “tipico” di quasi tutti i ristoranti tradizionali. Da bere era possibile scegliere fra la Urquell e la Gambrinus (anch'essa prodotta nello stabilimento). Le ho provate entrambe e devo dire che, anche se si tratta di prodotti industriali, berle “alla fonte” ha il suo perché.

La visita alla fabbrica parte dal punto in cui si acquistano i biglietti, ma dopo una breve introduzione la guida vi farà prendere una navetta che vi porterà all'interno dello stabilimento di produzione vero e proprio.

Il tour comincia dalla zona destinata all'imbottigliamento (che è enorme). Dalle due foto a lato, si può notare il "serpentone" di bottiglie che scorre ininterrottamente. Oltre alle classiche bottiglie verdi di vetro, in quest'area vengono preparate anche le lattine. E' impressionante scoprire che in una sola ora vengono imbottigliate 60.000 lattine da 50 cl, che equivalgono a 300 hl di birra...solo di lattine...solo in un'ora. Per capire l'enormità di questi numeri, basti pensare che molti birrifici artigianali italiani producono la stessa quantità di birra in un anno di lavoro!...>>>


venerdì 11 marzo 2016

Beer Travel in Rep.Ceca: Praga (1/2)

Fiume Moldava
e il Ponte Carlo
Sono tornato da poco da un intensissimo viaggio birrario di 4 giorni distribuito fra Praga e Plzen. L'idea di partenza era quella di NON andare a visitare i locali da beergeek dell'ultima ondata: per capirci, volevo proprio saltare tutti quei pub che proponessero Brewdog, Mikkeller, Moor e compagnia bella; quindi, ho dovuto lasciare da parte nientepopodimeno che locali del calibro di Zly Casy, Beer Geek Bar, Pivovarsky Club e Zubaty Pes, per fare largo alle birrerie più tradizionali delle due città. La possibilità di respirare la storia di questa bevanda, nel paese che ha inventato lo stile Pilsner e che ne vanta il più alto consumo pro capite al mondo, ha avuto la meglio su tutto (seppur con un paio di eccezioni). Dopotutto, ci saranno sicuramente altre occasioni per tornare a visitare i craft beer pub di nuova generazione presenti in città...

U Fleku
Arrivato in serata a Praga, con un volo partito da Bergamo, la mia prima tappa è stata...l'albergo.
Oltre a lasciare in camera la valigia, mi sono dovuto coprire un po' di più perché aveva appena iniziato a nevicare (e nevicherà quasi ininterrottamente per i successivi tre giorni).

Dopo essermi imbacuccato a dovere, mi sono fiondato in una delle birrerie più storiche e famose di Praga: parlo, ovviamente, di U Fleku. Fondata nel 1499, oggi rimane ben poco dello spirito di un tempo. 
Flekovsky Tmavè
Ormai U Fleku è pubblicizzata in tutte le guide turistiche ed è quindi diventato uno dei luoghi must per chi viene a visitare la città. Dentro ci troverete vagonate di turisti provenienti da ogni angolo del mondo, soprattutto italiani (siamo ovunque). Benché dia tutta l'impressione di aver venduto l'anima al consumismo, la birra prodotta da U Fleku è ancora largamente apprezzata, anche fra gli addetti al settore. In questa birreria si produce una sola birra scura chiamata Flekovsky Tmavy Lezák 13°. Si tratta di una Dark Lager dotata di note caramellate e tostate, di nocciola e una punta di liquirizia, non molto luppolata e con un gradazione alcolica intorno ai 5% abv. Quella che ho preso non era perfetta (una punta di diacetile), ma comunque molto piacevole. Qui ho anche cenato con un discreto gulasch e un apfelstrudel al limite della sufficienza. La birreria può accogliere fino a 1200 persone e in estate è possibile godere del bel biergarten. Se non ci siete mai stati, dovete andarci almeno una volta.

Spine U Cerneho Vola
Per la seconda tappa birraria bisogna saltare al giorno successivo. Verso ora di pranzo, attraversando il famoso Ponte Carlo, arrivo nel quartiere Mala Strana. Qui inizio la dura salita verso il Castello. La vista che godrò sulla città mi ripagherà di ogni sforzo. Dalla piazza di fronte al Castello si raggiunge una piccola birreria che potrei definire “di quartiere”. Si tratta del U Cerneho Vola. Interni rustici, quasi umili, con qualche tavolo e panche in legno. 
Al momento del mio passaggio era pieno di indigeni e c'erano due burberi vecchietti a riempire boccali senza sosta. Le birre alla spina erano due: Svetlì (una birra chiara a bassa fermentazione, che potremmo definire una Pale Lager) e Tmavè (una scura a bassa fermentazione, cioè una Dark Lager). Menzione speciale per le vecchie spine in ottone con manicotto ad apertura orizzontale. Spettacolari. Delle vere e proprie chicche.
Le birre – dal costo irrisorio – non erano nulla di ché, ma neanche male (se considero a posteriori tutte le altre bevute). La Tmavè leggermente meglio della Svetlì che peccava di un po' troppo diacetile...>>>

martedì 19 gennaio 2016

Viaggio Birrario in Giappone. Parte II: Tokyo

L'ascesa della birra artigianale è ormai un fenomeno globale e nel corso degli ultimi anni anche il Giappone ha costantemente sviluppato una fiorente cultura legata al mondo "craft". Avevo sentito dire che l'Impero del Sol Levante avesse una scena birraria artigianale piuttosto florida (si pensi a celebri marchi come Baird, Hitachino-Nest, Coedo ed Echigo che, seppur con qualche difficoltà, si possono reperire anche in Europa), però non mi sarei mai aspettato tanto fermento.
Gambrinus beer cafè
Ora, invece, mi soffermerò sulla seconda città visitata: Tokyo.
Che cosa dire sulla capitale giapponese? Per quanto riguarda la birra, ciò che mi ha colpito maggiormente è stata la varietà e il numero di birre artigianali provenienti da tutto il paese e offerte da un numero spropositato di locali. Ci vorrebbero settimane per visitare tutti i pub che la moderna scena birraria di Tokyo può offrire. Avendo però a disposizione un numero limitatissimo di giorni, mi sono affidato ai consigli di chi la città la conosce da anni e anche, lo ammetto, ai più noti siti (primo fra tutti Ratebeer).
Ma andiamo con ordine.

tap list
Il primo locale visitato non si trova certamente in uno dei quartieri più famosi di Tokyo: infatti il Gambrinus Beer Cafè è situato in Kokubunji, al sesto piano di un palazzo a cui si accede direttamente con l'ascensore che da sulla strada. Il locale è molto piccolo, con circa una quindicina di posti a sedere, ma l'offerta prevede 12 birre alla spina e 1 a pompa (tutte di provenienza giapponese!). E' possibile inoltre mangiare, ma la cucina offre piatti semplici e non necessariamente tipici della cucina tradizionale: quindi il consiglio è di concentrarsi maggiormente sulle birre. Gli assaggi sono stati: 
Uetake #029: European Golden, una Golden ale di Ushi-Tora Brewing non indimenticabile;
- Noboribetsu (Oni Densetsu) Kin’oni Pale Ale di Noboribetsu Brewpub, buona;
- Swan Lake Porter di Hyouko Yashiki No Mori Brewery (Swan Lake) dotata di tutti i crismi e decisamente la migliore assaggiata;
- Bunyip Australian IPA di Outsider Brewing (Yamanashi Prefecture, Kofu) che purtroppo è stata l'ultima e anche quella meno gradevole. 
Nel complesso il bar è carino e l'offerta varia spesso - da quel poco che ho potuto capire! - ma, a meno che non vi troviate nelle vicinanze, a mio parere non è un locale da tenere in considerazione se si vuole fare un tour dei migliori 10 craft beer pub di Tokyo...>>>

martedì 29 dicembre 2015

La birra artigianale italiana (non) esiste. Buoni propositi per il 2016...

Cosa serve oggi alla birra artigianale italiana?
Prima di tutto: essere riconosciuta. Forse non tutti lo sanno, ma la birra artigianale italiana non è ancora stata riconosciuta a livello legislativo. Sembra assurdo, però è così. Di fatto, gli artigiani italiani non possono scrivere sulle etichette delle proprie bottiglie “birra artigianale”, perché per la legge italiana la birra artigianale semplicemente non esiste. Qualcuno negli anni passati ci ha provato comunque – chi per ignoranza e chi per provocazione – ma è stato prontamente richiamato e in alcuni casi anche multato.
Nel 2016, sarà (forse) il caso di rimediare a questa assurdità. Fra le buone intenzioni per il nuovo anno ci mettiamo quindi l'aggiornamento delle nostre leggi (obsolete) sulla birra
Il disegno di legge 3119, che punta a semplificare il settore alimentare, può essere un ottimo veicolo per riconoscere le esigenze legittime di centinaia di micro-birrifici, oggi penalizzati dal fisco rispetto ai concorrenti europei e sottoposti a dubbie interpretazioni da parte della burocrazia pubblica.
Per questo motivo, lo scorso 16 dicembre si è tenuta al Ministero dell'Agricoltura un'audizione tra i rappresentanti delle maggiori associazioni birrarie nazionali (Unionbirrai, AssoBirra e CNA in prima linea) e quelli dei vari partiti.
Ne è uscito un quadro abbastanza variegato, con problematiche più o meno urgenti, ma quello che ho potuto constatare è stato il sincero interesse da parte dei politici (e anche una discreta preparazione sull'argomento da parte di alcuni di loro). Ed ecco quali sono le maggiori richieste che i birrifici artigianali reclamano a gran voce:

DIMINUZIONE DELLE ACCISE
L'accisa è un'imposta “di produzione” che grava solo su alcune tipologie di prodotti (benzina, luce, gas, alcolici, tabacchi...). Si tratta di un tributo “indiretto” perché il produttore - che è colui che fisicamente paga - gira indirettamente l'imposta al consumatore, aumentando il prezzo finale del prodotto. Rispetto al limitato costo di produzione, l'accisa condiziona fortemente il prezzo finale di vendita, aumentandolo di un'alta percentuale. Di fatto, quindi, colui che finanzia l'imposta è il consumatore, ma i danni di un'accisa alta si ripercuotono ovviamente anche sui produttori e sull'intero comparto in generale.
Per quanto riguarda gli alcolici, gli unici prodotti italiani soggetti al pagamento dell'accisa sono l'alcol etilico (che comunque vanta una delle accise più basse d'Europa) e la birra. Il vino e le altre bevande fermentate sono totalmente esenti dal pagamento di qualsivoglia tassa di produzione.
Di fatto, la birra risulta essere l'unica bevanda fermentata - nonché l'unica bevanda da pasto - a pagare accise.
Discriminazione? Direi di sì. Qualcuno potrebbe sentirsi in diritto di difendere il vino, dicendo che l'Italia è il paese vinicolo per (quantità ed) eccellenza ed è quindi giusto che sia fiscalmente privilegiato. Potrei anche essere d'accordo, se ciò non determinasse indirettamente un reiterato appesantimento fiscale nei confronti delle altre bevande concorrenti, in particolare per la birra (che è il maggior competitor del vino come bevanda da pasto a bassa gradazione alcolica). L'anomalia tutta italiana è facilmente visibile. Persino la Francia, che rappresenta il nostro più storico e stimato avversario, incassa delle accise sulla produzione del vino e questo permette di conseguenza di tenere più basse quelle sulla birra e sugli altri prodotti alcolici. Quello che ci si auspica è che anche in Italia si ottenga un minimo di equità.
Il punto più importante, però, non è tanto l'eterna rivalità vino-birra né tanto meno il pagamento delle accise in sé. Ciò che ha gettato nel panico i birrifici artigianali è stato il repentino aumento dell'imposta: negli ultimi 2 anni l'accisa sulla birra è stata aumentata in maniera indiscriminata, passando da 2,35 €/hl/°P (settembre 2013) a 3,04 €/hl/°P (1°gennaio 2015) ...>>>